Claudio Sottocornola, “Occhio di bue”: recuperare memoria e senso di appartenenza per raggiungere un ideale primigenio di bellezza

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Claudio Sottocornola

Il nuovo libro di Claudio Sottocornola, Occhio di bue (Marna), 628 pagine di testo, 96 pagine di foto e un Dvd-Rom allegato in omaggio (435 tracce in MP3), si offre alla lettura come un significativo e pregnante compendio di quanto l’autore, nell’ambito della sua attività di professore, filosofo, scrittore, giornalista e performer ha condiviso nel corso degli anni tanto all’interno delle mura scolastiche (il Liceo Mascheroni e la Terza Università di Bergamo), in particolare attraverso le cosiddette lezioni-concerto, esperienza performativa a tutto tondo e al contempo proposta didattica intesa a suggerire possibili vie da percorrere nel rapporto fra musica, scuola e territorio nel congiungere Storia istituzionale, Storia sociale, analisi del costume tramite la canzone popolare, quanto al di fuori di esse, per il tramite delle presentazioni in varie regioni d’Italia delle sue pubblicazioni. A tale ultimo riguardo Occhio di bue riversa precipua attenzione su due libri, Varietà e Saggi Pop (editi da Marna rispettivamente nel 2016 e 2018), andando a proiettare un potente fascio di luce su quel Popular attraverso il quale Sottocornola, ponendo sempre concreta rilevanza al legame fra arte e vita, ha delineato una suggestiva analisi ermeneutica-filosofica tesa ad interpretare la realtà del quotidiano, mantenendosi però distante dalla mera teoria o dalla facile ideologia, puntando piuttosto a fornire testimonianza al vissuto proprio di un popolo in un determinato momento storico, così come alla sua evoluzione negli anni, fino all’attuale decadimento. Un filo narrativo che si snoda quindi dal “paleo Pop” degli anni ’50/’60/’70, come lo definisce Sottocornola, forte della sua valenza di mythos fondativo ed ideale paradigma di confronto, per giungere infine al capolinea del nuovo millennio, in bilico fra corruzione e degrado.

Se quindi negli anni “paleolitici”, musica, televisione, cinema, vantavano un potere comunicativo tale da consentire la graduale formazione di un concreto immaginario nazionale collettivo, e la resa divistica dei vari artisti che andavano per la maggiore era paragonabile all’idea di gloria confacente agli eroi epici, oggi, invece, siamo di fronte ad un divismo distaccato e programmato, incline a calcare i media quale abituale palcoscenico fino a spopolare sul web. Su tale palco virtuale, sorta di porto franco, spesso avulso dall’ordinarietà sociale, tutto sembra essere realizzabile, nell’illusione di godere dello status di protagonisti assoluti e poter scegliere, o imporre, in apparente totale libertà, le tendenze e i personaggi da seguire, mentre in realtà non ci si rende conto, spesso e volentieri, di non essere altro che delle marionette i cui fili sono tenuti ben saldi, e opportunamente manovrati, da calcolati interessi di mercato. Quanto scritto è evidente in particolare nel capitolo Maradona, il Covid e l’apocalisse del Pop, dal quale si evince inoltre come l’autore intenda restare fedele al proprio vissuto, considerando sempre il Popular, nelle sue molteplici declinazioni artistiche, quale ossatura portante relativamente alla crescita identitaria di una nazione, l’Italia, almeno per tutta la seconda metà del Novecento. Al contempo, però, vorrebbe lasciarselo alle spalle, “continuando a nutrirsi di tutto il meglio che ha saputo offrirgli ed eventualmente ancora gli offrirà, nelle forme e nei modi che gli sembreranno compatibili ed anzi auspicabili rispetto alle esigenze sopraggiunte nel frattempo”.

Occhio di bue è un’opera che considero necessaria: nel tempo che stiamo attraversando, dove il caos generato dall’emergenza sanitaria ha messo ancora più in rilievo la deriva di una società alla ricerca di un senso che vada al di là di un progresso prettamente materiale e al cui interno la stessa cultura assume le fattezze di un qualsivoglia prodotto di consumo da porre sullo scaffale in offerta speciale, Sottocornola focalizza, nell’esternazione progressiva di diverse variabili, il concetto puro e primigenio di popolare, in una accezione pasoliniana, ovvero distante dal paradigma economico odierno e tendenzialmente volta a recuperare memoria, senso di appartenenza e sensibilità verso un’idea di bellezza che trascenda il trasporto funzionalistico nei confronti delle necessità meramente soggettive. Riprendendo le parole dell’autore, “una testimonianza dell’itinerario seguito che potrebbe essere d’aiuto ad altri. Con tutta la musica che l’ha accompagnato e che vorrei consegnare al silenzio. E cioè, a un vero ascolto”. Sta a noi, dunque, individuare gli stratagemmi tattici per ritrovare la nostra più intima essenza, riassaporando ad esempio i rapporti con gli altri, familiari e d’amicizia, o riscoprendo il senso proprio di quelle espressioni artistiche che pur “antiche” manifestano tuttora attualità e concretezza, insomma provare a fare la differenza ergendoci al di sopra della mera superficie omologante con la nostra individualità e prodigandoci nel condividerla, “consapevoli che la forza dell’attrazione esercitata dall’altrove alla fine ci salverà e, con noi, salverà anche questo mondo in bilico tra orrore e splendore”. (Dal blog Sunset Boulevard)

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