Fare il supplente in Italia

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foto daniele per giovanniLa mia prima esperienza come supplente l’ho avuta in un paese della provincia sudovest di Milano. Sono stato chiamato una mattina dalle graduatorie di terza fascia attraverso una telefonata insperata da parte della segreteria,che mi ha comunicato che avevano bisogno di coprire una malattia di quindici giorni della docente di lettere.

Pieno di entusiasmo, nonostante si trattasse di una supplenza molto breve, vista anche la congiuntura economica alquanto negativa, mi sono recato il giorno dopo ad accettare l’incarico. Incontro la vicepreside, molto gentile, una donna decisa e di polso, che immediatamente mi ha assegnato il monte ore settimanale, fornito qualche informazione pratica e i nomi dei docenti a cui avrei potuto rivolgermi per ogni tipo di problema. Visto che manca più di un’ora mi accompagna in sala insegnanti, dove tutti sono cordiali, accoglienti, pronti a darmi tutte le informazioni di cui necessito. Conosco subito la docente di sostegno, anche lei supplente, che sta seguendo le classi di cui mi occuperò e che mi anticipa che ci sono un paio di soggetti delicati con cui bisogna fare attenzione.

La prima sensazione che prova il supplente, almeno nella mia esperienza, è quella di straniamento. Non esistono praticamente dei vademecum o dei corsi universitari e non che ti insegnino cosa devi fare, come funziona il quaderno dell’insegnante, come si compila un registro.. Evidentemente l’insegnante stesso, visto il suo ruolo di docente, è tenuto ad “autoapprendere” queste cose carpendole qua e là dai colleghi.

Tornando alla mia esperienza, sono entrato in classe, un po’ emozionato e con il viso contratto in una smorfia di serietà, dato che la prima cosa che ti dicono è: non fare l’amico, sii duro sin dall’inizio. Quando ho comunicato ai ragazzi che avrei continuato il programma della docente di ruolo, ho visto più di una faccia stupita, tra i banchi, come per dire: ma come? Non è forse il supplente?

 

La scuola italiana, secondo me, ha abituato gli studenti a vedere il supplente come una figura precaria, priva di autorevolezza, praticamente un tappabuchi. Eppure il supplente è una personalità così abusata, nella scuola, così bistrattata sia dalle istituzioni, dalla politica, dalla società e, di conseguenza, dagli alunni, che non ci si deve stupire di come questi ragazzi siano abituati, ormai, a considerare l’ora di supplenza come un’ora di vuoto, un interregno in cui la disciplina, quasi per una legge non scritta, non è più un obbligo.

Io personalmente, durante i quindici giorni della mia esperienza, ho cercato di configurare ai miei studenti una qualche forma di continuità, seppur con qualche ovvia incertezza e difficoltà, e in questo modo ho recepito da parte loro una forma di rispetto, uno stupore, quasi, nel vedere che “anche” il supplente (sic!) è in grado di inserirsi nel continuum dell’esperienza didattica dell’anno.

In questo periodo stanno cominciando le iscrizioni per i cosiddetti TFA, che vedranno il loro culmine nelle prove d’ingresso programmate, con un mese di ritardo rispetto alle ultime stime del ministro Profumo, per luglio. Molti sono i dubbi e i nodi non risolti di questa procedura di reclutamento, di cui mi farà piacere discutere con maggiore profondità in un altro articolo, ma è necessaria, direi, qualche piccola riflessione: è possibile che i futuri insegnanti di ruolo, che quotidianamente sono già usati e, come dicevo, abusati all’interno delle strutture scolastiche come tappabuchi in ore di lezione, in consigli di classe, costretti, senza nessun aiuto esterno se non quello, per fortuna, dei colleghi più volenterosi, ad affrontare situazioni difficili a livello disciplinare e educativo, abbiano anche bisogno di “testare” ulteriormente (tramite un test a crocette che ha molto in comune con le metodologie didattiche americane e poco con la nostra cultura italiana, europea, umanistica) le proprie competenze? Oppure il supplente è semplicemente una figura mitologica metà docente e metà precario, cui viene concesso di fare esperienza quando i colleghi di ruolo sono malati, il cui bagaglio esperienziale però non viene mai considerato?

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