Pittsburgh, City of Asylum, un’ utopia realizzata

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Da Antonella Iaschi, poetessa e scrittrice, riceviamo e pubblichiamo

“Quelli” di City of Asylum la chiamano “Cerimonia” ma è molto di più: è MEMORIA, è RISPETTO, è riempire il vuoto che hanno lasciato gli scrittori perseguitati  con il loro RICORDO, è SCONFIGGERE  i loro assassini che non sono riusciti a cancellarli. Lo scorso anno nel mondo sono stati perseguitati  1200 scrittori-giornalisti-poeti, il 10% dei quali è stato giustiziato.La “Cerimonia” ha luogo durante gli eventi di musica e poesia in un locale che è libreria, ristorante eccellente e spazio scenico. Di giorno  è un piacevole salotto dai divani grigi trapuntati di bottoni colorati, quando si svolgono gli eventi  le scaffalature scorrono facendo posto a circa duecento seggiole. Velocemente il luogo cambia aspetto mantenendo il suo fascino elegante e caldo. A separarlo dalla strada ampie vetrate dove  centinaia e centinaia di lettere appartenenti agli alfabeti del  mondo testimoniano l’esistenza di culture “ALTRE”. Alphabet City (www.alphabetcity.org) è fucina d’umanità, dove si creano (sul palco e nella vita che precede e segue gli eventi) mescolanze di persone e sentimenti  che, se diventassero contagiosi, potrebbero riportare le lancette degli orologi al tempo del pensiero.  Henry  Reesee i suoi collaboratori lo sanno bene e non a caso hanno scelto per far “fiorire” le  “case” una zona di Pittsburgh (Pennsylvania) dove gli abitanti hanno ancora l’abitudine di sedersi sui gradini della soglia per socializzare. Una zona dove le diversità quasi anarchiche delle costruzioni danno spazio alla creatività del singolo e la propongono alla collettività.

A pochi isolati da Alphabet City c’è Sampsonia Way che racconta dei suoi nuovi abitanti attraverso i murales, i colori, i suoni, le scritte…lei si che è contagiosa: ovunque in quel quartiere spuntano segni, oggetti, lettere che riportano alle case che vi si affacciano e che accolgono gli scrittori rifugiati sostenuti dall’Associazione City of Asylum ( www.cityofasylum.org ). Quelle abitazioni  hanno un nome: La Casa del Jazz che riceve i suoi visitatori con un campanello che diffonde musica, quella della Poesia le cui pareti sembrano la pagina di un libro e le altre che offrono ai passanti storie graffite sulle proprie pareti. In quelle case l’Arte r-esiste anche per chi rifugiato non ha potuto esserlo e gli esuli della parola che vi sono accolti(Iraniani, Bengalesi, Venezuelani, Birmani, Siriani, Eritrei…)  diventano testimonianza . Se è vero che Arte è condivisione, tutte le persone che durante la “Cerimonia” ascoltano la loro voce e alzano i cartelli che portano il nome di un perseguitato, potrebbero diventare staffette. Questo è il messaggio. Scrivere su un volantino la storia e il nome di uno scrittore che “non ce l’ha fatta” è fare in modo che lo spettatore che alza quel cartello durante la cerimonia riconsegni la vittima al presente, perché le sue parole arrivino al futuro.

Le dittature bruciano i libri, non il loro messaggio. Io non conoscevo Fessahaye “Joshua”Yohannes (Eritreo) imprigionato e torturato, accusato di colpe confessate sotto tortura. Non lo libero, lo so, ma un pezzetto di lui nella mia vita è entrato, anche solo per aiutarmi a tenere accesa l’indignazione e la speranza di un cambiamento.  Utopia? Può essere, ma è una di quelle utopie da rispolverare ogni volta che il pensiero che scrivere sia inutile si insinua,  lasciandomi in balia di questo mondo malato che tenta disumanizzare ogni cosa.

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