Claudio Sottocornola, “Tra cielo e terra” un sentiero di rinascita da percorrere

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L’ultima opera di Claudio Sottocornola, Tra cielo e terra (Centro Eucaristico, 2023), si presenta come una raccolta di nove brevi saggi che l’autore ha redatto per la rivista Il Cenacolo nel 2022, all’interno della rubrica Lo sguardo filosofico, ora proposti in silloge e caratterizzati da una forma più articolata e argomentata, cui si affianca una trattazione maggiormente analitica. In forza di un consolidato approccio ermeneutico, Sottocornola rivela infatti la creatività propria di un moderno filosofo nel farsi indagatore di quella verità insita nell’uomo, avvalendosi nel corso della sua indagine di originali chiavi interpretative, musica, poesia, immagine. Si dà adito così ad una visione del mondo in primo luogo filosofica, ma fortemente legata alla quotidiana attualità nel richiamare responsabilità individuali e collettive, mantenendosi quindi distante da teoria ed ideologia, ricercando piuttosto una condivisione, anche estetica, intesa a tendere un concreto fil rouge fra ciò che siamo stati e il nostro incessante divenire. Con Tra cielo e terra l’autore si propone di volgere uno sguardo filosofico sul mondo, come enunciato dal sottotitolo, analizzando, anche alla luce di recenti eventi quali l’incedere pandemico e la guerra tuttora in corso tra Russia ed Ucraina, l’incredulità e lo smarrimento dell’odierna civiltà, persa nei labirintici meandri di un individualismo materiale ed ideologico, scolpito negli anni sulla pietra di un progresso puramente materiale, lontano da una concreta evoluzione, citando Pasolini. La nostra quotidianità appare ormai incorniciata da schermi di varie misure, al cui interno la “giostra umana” si agita esternando quelle che si ritengono verità assolute, spesso rigurgitanti odio o rancore, ritenendo la rete una sorta di porto franco e la realtà una pratica solipsistica.

Claudio Sottocornola

La stessa cultura, il suo ideale rappresentativo più profondo ed intimo, sembra procedere, con fare omologante, in  via di stereotipi freddamente calcolati dalle multinazionali, senza esprimere alcuna consapevolezza che si possa definire, propriamente e concretamente, libera, trattata dunque alla stregua di qualsiasi prodotto di consumo da piazzare proficuamente sul mercato. Ecco allora le pagine animarsi di nove riflessioni, generatrici di altrettanti capitoli, al cui interno Sottocornola ci invita a riprendere contatto con la nostra interiorità e a riavviare una simbiotica interazione con il nostro prossimo, “l’altro da sé”, ponendosi come obiettivo la conciliabilità di punti di vista diversi, fino a rinvenire la valorizzazione di una diversità fondante, quella che ci accomuna tutti in forza di una individualità da preservare e condividere, nel nome di una concreta umanità. La ragione diviene allora strumento privilegiato nel guidarci vero un inedito cammino, così da superare lo specialismo tecnicistico moderno e postmoderno attraverso il recupero di quell’approccio globale-olistico proprio delle civiltà premoderne, “la ragione che sente e che ama”. Più propriamente, un’intelligenza scaturente da quell’amore profondo esternato nell’accettare pienamente il dono ricevuto, adoperandosi in modo che se ne possa sviluppare in concreto ogni potenzialità implicita. Egualmente, l’idea di bellezza, libera dalle pastoie materialistiche ed edonistiche imposte dai media, potrebbe ritornare alla sua priorità corale e collettiva, ove si prepari adeguatamente il terreno al suo radicamento, spargendo poi i semi di un pensiero, una sensibilità, un’esperienza aperti alla luce, al valore, al bene. Si potrà così giungere ad assaporare la bellezza che è in ogni cosa, amandola di conseguenza, ovvero, evidenzia Sottocornola,la bellezza salverà il mondo(Dostoevskij, L’idiota) se noi salveremo la bellezza, prima di tutto all’interno della nostra anima, preservandola, adoperandoci poi per la condivisione dei suoi ideali.

(Outdooractive)

All’interno di una società che sembra costruita, oltre che sul mero apparire, sul deleterio assunto “consumo dunque sono”, l’idea della morte ha perso qualsiasi connotazione spirituale, al pari della funzione che le era propria di memoria storica. L’incombere della pandemia l’ha resa nuovamente un fatto pubblico, facendone riemergere la classica dicotomia: avvertirne nitidamente la presenza, rendendola occasione di maggiore autenticità e compenetrazione nei rapporti sociali, alla luce della sua portata livellatrice, quindi apportatrice di crescita interiore, oppure mantenersi distaccati dalla sua semplice idea, tra cecità sociale ed autismo spirituale. Così facendo si andrà ben presto a dimenticare però come, anche travalicando il credo professato, proprio il considerarne la tangibilità potrebbe costituire uno sprone ad eternarci, “Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere per sempre” (Mahatma Gandhi). Anche all’interno di una civiltà degradante verso un piacere prioritario, fine a se stesso, che ci sospinge alla deriva della vacua accondiscendenza compiacente, nell’alternanza scomposta di banalità e mediocrità, è possibile ancora far leva sul dover essere, esternando nell’ambito morale il piacere del dovere provando ad individuare quel meglio che la nostra coscienza ci può indicare, comprendendovi quelle circostanze di tempo e di spazio in cui ci ritroviamo a vivere. Raggiungere l’obiettivo cui si è lungamente lavorato, aver fatto quanto era in nostro potere nell’agire secondo coscienza, nell’ottica di un perfezionamento personale ed altrui, non potrà che produrre un interiore senso d’espansione, pace, armonia.

(Neuroscienze.net)

Concetti forse labili, ma certo forieri di inaspettati eventi correlati, in ogni ambito umano, dalla spiritualità all’affermazione dei diritti sociali e politici, passando per gli aspetti artistici-estetici o ecologici-ambientali. Una volta risucchiati in quel buco nero che vede contrapporsi reale ed ideale, fino all’esteriorizzazione del disadattamento dovuto alla presenza di due eserciti “l’un contro l’altro armati”, il dolore pulsante della vita vissuta e la felicità auspicata per quella invece anelata, più che adoperarsi nell’eliminare tale condizione, ritenuta simbolo d’imperfezione, occorrerà invece resistere ai canti delle sirene propri di un’etica venduta a prezzi da saldo. Si potrà allora accogliere una progressiva disponibilità ad autotrascendersi, rendendo la nostra condizione umana conforme alla libertà dello spirito, nella trasfigurazione del dolore e del male in vista del raggiungimento della grazia quale orizzonte agognato. Esternando nei rapporti con quanti ci sono vicino non tanto una delicatezza puramente formale, quanto un interesse reale, il bene che ci è possibile, si potrà poi esprimere gentilezza, attenzione, cura, al di fuori del proprio ruolo, delle necessità e delle convenienze. Infatti, sia in riferimento alla delicata situazione internazionale, sia pensando alla triste quotidianità della violenza, ad esempio quella che si consuma tra le mura domestiche, guerra e pace potranno essere prospettate quali opzioni dell’anima, caratterizzate, in definitiva, dalla qualità del nostro rapporto col senso eucaristico del tutto.

(UPPA)

Nell’ambito lavorativo, infine, sarà necessario provare a superare la netta contrapposizione tra l’assolutizzazione del lavoro, esemplificata dal risvolto capitalistico, e la fuga da esso, il suo rifiuto, recuperando una vocazione personale, intrinseca alla realizzazione di sé, ma anche strutturalmente collegata alla relazione con l’altro, nell’ottica di una comunione ontologica, nel cui ambito il lavoro di vivere può assumere rilevanza ben più di quello retribuito, superando quindi la logica dell’efficienza e della competitività. Si evince allora dalla lettura di Tra cielo e terra come ciascuno di noi, riguardo a valori come la bellezza, la democrazia, la giustizia, la fede, coltivi un mythos fondativo diverso, per cui solo accettando tale diversità sarà possibile almeno intuire la prospettiva da cui essa stessa ha origine, all’interno di un’esistenza degna di essere vissuta nella sua interezza. Il tutto, però, conclude Sottocornola, nell’ottica di un ripensamento dei sistemi valoriali sino ad ora ritenuti efficaci nel tradurre tale desiderio di universalità, elaborando nuovi paradigmi di comprensione e dialogo, nel segno della maggior inclusività possibile, per fare ritorno ad una inedita e concreta progettualità della vita, anche nella ricerca del senso sotteso alla comune esperienza umana. Sarà quindi necessario un potente sforzo di conversione, non basterà accontentarsi di una vacua ripetizione dei modelli acquisiti, ma adoperarsi in un generoso slancio volto alla riscoperta di una sana sperimentazione, all’inaudito, al nuovo, perché una esperienza di nascita possa avvenire e una stella ritorni ad indicare il cammino. Un desiderio proprio del “primo uomo”, ovvero di colui che sarà capace di rinascere attingendo dal proprio passato per vivere meglio il presente, allineando il proprio sguardo, citando i Vangeli (Mt 18,2-5) a quello primigenio di un bambino, in procinto d’iniziare la sua avventura nel mondo. (Dal blog Sunset Boulevard)

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