Il nuovo libro di Sottocornola ci rammenta quanto abbiamo bisogno di “Parole buone”

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“Auguro a tutti di pronunciare sempre parole buone!” Claudio Sottocornola

Canto, Evoluzione, Virtù, Educazione, Amore, Bellezza, Gioia, Confessione, Nostalgia, Paese, Preghiera…sono solo alcuni dei termini che Claudio Sottocornola, filosofo, scrittore, giornalista e performer, analizza in Parole buone (Marna/Velar, pp. 228), appena editato in formato ebook, una sorta di “dizionario minimo” a cavallo tra filosofia ed esistenza, che l’autore compone alla luce di un approccio ermeneutico e musicale che lo conduce pian piano dal frammento al sistema, dal particolare al generale, dalla scissione all’unità. La scelta del titolo sembra riferirsi non già a parole selezionate in virtù di una loro presunta “bontà intrinseca” (compaiono infatti anche termini più ambivalenti, come bruttezza, osceno, decisamente inquietanti, come Covid-19, o controversi come il Sessantotto), ma piuttosto all’approccio utilizzato, che è inclusivo, aperto alla mediazione delle apparenti aporie e al dialogo delle opposte visioni, in nome di una empatia intellettuale che, almeno programmaticamente, vorrebbe generare armonia e valore condiviso. Infatti aprono e chiudono il volume i termini parola ed equilibrio, in una cornice che riflette un’esigenza di unità, ordine, armonia, qualità da riscoprire e assumere come barriera protettiva nei confronti della tendenza che vorrebbe superare la condizione fisica, personale e territoriale delle relazioni umane, in nome di una funzionalità tesa all’efficienza, impersonale, interscambiabile, tecnica e totalmente virtuale. L’essere umano, esplicita Sottocornola fra le pagine del libro, deve perseguire tenacemente l’attuazione del proprio compito, ovvero “il lavoro di esistere nella libertà di ogni giorno, con tutta la fatica  e la bellezza che esso porta con sé”, “vivere nel presente come garanzia di un’evoluzione in cui non ci si specchia narcisisticamente, ma che comporta una totale immersione nella pienezza del qui e ora”.

Claudio Sottocornola

In un mondo in cui gli individui sono ormai divenuti ingranaggi garanti di un buon funzionamento del sistema, l’uomo occidentale si sta infatti atomizzando, perdendo il proprio legame col territorio e tentando di reinventarsi nella relazione con le merci, le quali non possono far altro che allontanarlo dal senso delle cose e “da qualsivoglia esperienza di comunità”. Lo stesso sapere non appare più orientato ad ottenere una crescita personale, ma tende a trasmutarsi in qualcosa di efficientistico, pratico, in quanto deve dimostrare di essere funzionale alla soddisfazione di un bisogno, nell’ambito di un  contesto dove, paradossalmente, è proprio “la bruttezza, ovvero ciò che il sistema ritiene tale, ad esprimere spesso una forma di bellezza più alta e non convenzionale”. Intanto, “le merci si propongono in forme levigate, profumate e luccicanti, come da cliché”, mentre “la bellezza come dato biologico e la correlata giovinezza, insieme alla forza fisica e alla efficienza tecnica, impongono ovunque una estetica epidermica e cinica”. Come si vede, le “parole buone” di Sottocornola non intendono generare relax psicologico, anestetizzando il dolore e la problematicità della vita: la lettura dell’opera, infatti, non manca di sorprese, svolte impreviste, asperità diffuse, vere e proprie denunce storico-epocali (per esempio relative al predominio dell’economia o della tecnica nella società contemporanea) quando non appassionate invettive, come nella testimonianza finale che l’autore ha voluto inserire quale post-scriptum, e dedicata alla epidemia di Covid-19 che ha devastato la sua Bergamo.

E proprio per questo l’autore, che ha deciso di posticipare la pubblicazione del testo (la cui stesura è avvenuta nel 2018-19) alla fine del lockdown e ha voluto farne una versione ebook scaricabile gratuitamente, ha ritenuto ancora attuale il messaggio contenuto nel libro: “ … perché le “parole buone” che ho cercato di pronunciare in questo libro mi appaiono ancora leggibili, se pur precedenti la grande tragedia che ha attraversato le nostre terre e la nostra gente, e forse mi appaiono leggibili perché il bene che vorrebbero esprimere – per citare il titolo di un’illuminante opera del teologo Luigi Maria Epicoco (che a sua volta si ispira a Bernanos) – è Sale, non miele, vale a dire invito alla consapevolezza e, in questa, all’impegno, piuttosto che a una quiescente  accettazione del dato”. Se tante sono le influenze che si appalesano nel libro, da Platone a Kant, da Confucio a Heidegger, da Marx a Hegel, la presenza più rilevante appare tuttavia quella di una fede cristiana declinata come strutturalmente aperta all’incontro, perché in una società ormai villaggio globale e prona a logiche edoniste di mercato vi è bisogno di riscoprire, di riappropriarsi della propria interiorità e spiritualità. E ciò appare attuabile non contrapponendo al pensiero unico di matrice consumistico-capitalistica quello espresso da una religiosità integralista, bensì occorre prendere consapevolezza che il pluralismo non nega l’unità, favorendo esperienze  spirituali che si tramutino in forza di relazione esistenziale e condivisione.

Circa la genesi di quest’ultimo lavoro, il filosofo-interprete ricorda che,  a margine di un progetto comune e in divenire, l’amico e scrittore Donato Zoppo gli chiese di definire alcuni termini, da cui egli decise di far partire una riflessione molto più articolata, quasi a rivisitare ambiti e concetti rimasti in sospeso nei precedenti lavori. Sottocornola viene generalmente presentato dalla stampa come filosofo del pop per le sue lezioni-concerto in cui la canzone pop, rock e d’autore diviene strumento per ricostruire la storia sociale e del costume nel Secondo Novecento, ma anche per le sue ponderose pubblicazioni sulla popular culture, come i suggestivi Saggi Pop (Marna, 2018), quasi seicento pagine fra controculture giovanili, musica, cinema, Tv e moda, o le interviste ai grandi dello spettacolo italiano in Varietà (Marna, 2016). Tale definizione risulta tuttavia decisamente riduttiva in quanto il nostro autore da sempre sviluppa una riflessione a 360 gradi che coinvolge più in generale la ricerca di senso, a partire dagli stimoli dell’attualità, e dunque, oltre all’indagine della cultura pop, si inoltra nella analisi del sacro e della sua crisi nell’attuale contesto di civiltà (fra gli altri, vedi i saggi The gift (CLD, 2010), I trascendentali traditi (Velar, 2011), Stella Polare (Marna, 2013), Coffee Break (I Quindici, 2019), ambito in cui sembra inscriversi anche quest’ultima opera, ricca di stimoli teoretici e speculativi.

Del resto Sottocornola, ordinario di Filosofia e Storia nei licei, è stato anche docente IRC, ha insegnato Materie letterarie, Scienze dell’educazione, Storia della canzone e dello spettacolo alla Terza Università di Bergamo, ha insomma inanellato svariate competenze e assunto prospettive diverse sulla realtà, che lo predispongono ad un approccio globale, appunto ermeneutico e interpretativo, libero da cliché e maglie disciplinari troppo strette: la sintesi culturale di Claudio Sottocornola, a cavallo fra post-moderno e classicità, si realizza dunque non come rigida specializzazione relativa a un ambito o settore, essendo in certo qual modo il suo un approccio olistico e globale, ma nella moltiplicazione dei punti di vista e delle modalità performative, che spaziano dalla canzone alla poesia (con raccolte tradotte in più lingue), dalla pubblicistica alla saggistica, dalla fotografia al collage e al disegno, dove l’elemento postmoderno è dato dalla inquieta moltiplicazione degli strumenti espressivi,  mentre  l’elemento di classicità è segnalato dal fatto che, in maniera evidente ed estremamente efficace, il nostro realizza di tutto ciò una esperienza  unitaria  in virtù di quel suggestivo percorso interdisciplinare e transmediale da sempre caratterizzante l’attività creativa propria di un moderno filosofo, che si avvale di originali chiavi interpretative per offrirci una riflessione critica che dia spazio a molteplici spunti di riflessione, sottolineando come ciascuno di noi, nell’identificare valori come la bellezza, la democrazia, la giustizia, il bene, abbia un mythos fondativo diverso, e come solo accettando tale diversità si potrà apprezzare la prospettiva ermeneutica da cui essa ha origine, entro un’esistenza che dunque ci vede tutti attori protagonisti chiamati a recitare al meglio la nostra parte.

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