Riceviamo e pubblichiamo
Per dirla in inglese e in latino, il dies irae si è rivelato in flop; e con questo siamo al te deum del megaquiz italiano, l’Invalsi. La pretesa che l’antica veggenza mediterranea degli aurispici dovesse cedere alla moderna macchinetta anglosassone dei test non poteva meritare sorte migliore. La differenza fra i due mondi del magico occidente è che la lettura delle viscere degli agnelli o dei fondi di caffè è gratuita, mentre il sistema nazionale di valutazione costa molti milioni di euro: leggere un fondo di caffè costa un minuto, è ecologico e si lascia al vento; l’affare invalsi impiega invece centinaia di quizzatori, somministratori e immagazzinatori pagati tutto l’anno; è una piramide del nulla al cui vertice si situa un miraggio cosmico (Ocse, Pisa, ecc.) con un nome comico (Cipollone ecc.); questo vertice costa da solo qualche milione di euro, e questo è tutto.
In provincia di Oristano, una delle aree borderline dell’economia italiana, e quindi della società e della scuola italiana, praticamente non c’è stata partita: il rifiuto degli studenti sedicenni (secondo anno di scuola secondaria superiore) e l’adesione allo sciopero da parte di molti dei loro insegnanti hanno messo in imbarazzo gli stessi dirigenti scolastici deputati al fischio d’inizio e alla certificazione del risultato. I quadrettini dei quiz sono rimasti tristemente senza crocette, come le lapidi di un marmista senza clienti. La differenza è che un marmista deve pagare l’Imu, le certificazioni contabili, gli interessi sui crediti e le spese materiali, mentre per il demenziale investimento Invalsi non pagherà nessuno, ovvero pagheranno gli ignari cittadini. Allora, quando i “Professori” propriamente detti inventano il nuovo angelo sterminatore chiamato in inglese spending review, e in romano quanto je fa, è opportuno che sull’affare Invalsi si presenti seriamente il conto.
Il conto, con la somma di tante crocette che sono rimaste senza posizionatura sospese su quiz che nessuno è andato a leggere, è una croce definitivamente posizionata sul tutto il cimitero virtuale della didattica a test. La fascinazione italiana della didattica a test è stata curiosamente chiamata Invalsi. La sostantivazione più letteralmente adeguata a questo acronimo è appunto la invalsamazione. E una scuola invalsamata (cioè trattata con la formalina dei quiz) è per definizione priva di vita, come gli stambecchi impagliati o come le mummie egizie; o come il povero studente pinocchio legato contro la sua volontà ai fili di un maniacale burattinaio, che concepisce le forze giovani della società come composizioni di legno snodabile che si devono muovere a comando.
“Destroy the quiz machine” è stato il tam tam che ha rimbalzato nella comunicazione scolastica in questi giorni: non solo per una idea della scuola rispondente alla dignità delle persone, al senso dell’educazione e alla costituzione della repubblica, ma anche perchè ci si sforzi di guardare al senso di una società intera ridotta a disintegrarsi ogni mattina in solitudini aggrappate alle innumerevoli slot machine e a reintegrarsi ogni sera in comunità ebeti stordite davanti agli innumerevoli giochi a quiz televisivi. Le persone non sono un gioco d’azzardo, e la cosidetta meritocrazia o il metro di valutazione europea non c’entrano niente con questa catena di desolazione.
Questa in fondo, per piccola che sia, è la vittoria conquistata dalla scuola italiana oggi, 16 maggio.
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